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Trasloco!

Tranquilli, non io, è il Blog a traslocare. Per quanto la mia natura sia prossima a quella di un nomade non sono ancora arrivato al punto di pianificare un trasloco al mese.
Questo post è per coloro che mi seguono ricevendo aggiornamenti sull’attività del Blog via e-mail o via Feed RSS. Bene, sappiate che, se vi interessa ancora seguirmi, dovete andare a registrarvi sul nuovo Blog. Questo l’indirizzo: http://wiederanfangen.miclami.net.
Potrete registrarvi inserendo il vostro indirizzo e-mail oppure iscrivendovi al Feed, come prima insomma. Anche il nome del Blog non è cambiato: wiederanfangen porta con sè la qualità del momento iniziale in cui ho deciso di dare vita a questo spazio nella rete e mi è parso giusto mantenerlo per evitare che lo stimolo iniziale che mi ha spinto a lanciarmi in questa avventura venga meno.
Per quanto abbia deciso di spostarmi su un sito di Web Hosting, ho comunque deciso di continuare di avvalermi di WordPress e del tema che avevo scelto a suo tempo, con cui sia io che voi ormai abbiamo familiarizzato un po’. Ho comunque apportato alcune modifiche: innanzitutto ho aggiunto qualche messaggio pubblicitario che mi auguro non vi disturbi più di tanto. Non ho la presunzione di campare con l’attività del Blog, ma diciamo che sarei già pienamente soddisfatto se a fine mese con i clic raccolti dai banner riuscissi a pagarmi una birra (dovete sapere che qui a Colonia una Kölsch costa davvero poco per cui il mio obbiettivo non si può certo definire ambizioso). Se poi, visto che non ci si vede più di persona, avete comunque voglia lo stesso di offrirmi una birra potete farlo attraverso il pulsante PayPal 😉
La novità comunque più interessante è comunque il plugin per la visualizzazione delle gallerie fotografiche. Adesso se cliccate su una delle immagini del post partirà in automatico la visualizzazione in modalità slideshow con le immagini del post ad una risoluzione migliore che non quella offerta dai thumbnail inseriti nel post. L’idea infatti è quella di corredare i post con un maggior numero di immagini, per due motivi: 1) per rendervi la lettura più piacevole e riuscire a trasmettervi con qualche immagine quello che sto vivendo qui; 2) perché la fotografia é sempre stato uno dei miei interessi, e chissà che con questo obbiettivo, ed il molto tempo libero di cui al momento posso disporre, non riesca ad applicarmici un po’ più seriamente migliorando la qualità dei miei scatti. Dunque vi aspetto nella nuova casa!


Liebe Grüße

Buongiorno a tutti, é da un po’ di tempo che non mi faccio sentire, ma qui si é cominciato a fare sul serio.

Dunque: abbiamo acquistato le bici e quindi adesso l’unico ostacolo al viaggiare é la voglia di salire in sella e pedalare. Muoversi per Colonia lungo le sue infinite piste  ciclabili é una sensazione difficile da tradurre a parole, soprattutto per uno che in precedenza era abituato a fare a gomitate con i camion per conquistare quel metro quadrato di spazio vitale. Come già vi raccontavo in un altro post, qui, a bordo di quasi ogni carreggiata, vi è una pista ciclabile, una per ogni verso di marcia. E dove la strada diventa una Einbahnstraße (vale a dire una strada a senso unico) é stata una meraviglia scoprire che alle bici é consentito percorrerla in direzione opposta al senso di marcia. E’ questo il senso di cartelli come questo qui a lato. A questo si aggiunge il fatto che esistono parecchie zone 30 e che anche laddove non sussistono limiti di velocità le auto sono molto rispettose. Beh, non tutte, ovvio. Ad esempio qui dove abitiamo, in Venloerstraße, strada centrale del quartiere di Ehrenfeld che pullula di negozi, non è raro trovare parcheggiati lungo la ciclabile camion che effettuano carico-scarico merci.  C’è da dire che quando a farlo é una macchina, la polizia, se presente nei paraggi, interviene piuttosto sollecitamente. Una cosa interessante é che le multe non sono così esose come da noi. Se la lingua non mi inganna, ho sentito un poliziotto che comunicava l’importo della contravvenzione al malcapitato di turno: 10 euro! Al momento ho pensato che era un’assurdità, che la multa per un tipo di infrazione del genere dovesse essere almeno il triplo. Poi, quando ho visto che l’automobilista placidamente, senza discutere, apriva il portafoglio, pagava e si allontanava a bordo della propria auto, ho capito. Sarà il nostro temperamento italico che ci fa sempre scattare per un nonnulla, ma é difficile non abbozzare una protesta quando l’importo della multa é di gran lunga maggiore. Questo fa si che i nostri vigili abbiano il giustificato timore ad avvicinarsi alle auto in doppia fila cosa che permette alle cattive abitudini italiche di perseverare. Il cittadino tedesco avrà pure un temperamento diverso dal nostro, ma se ti viene contestata un’infrazione palese e la multa é esigua, quale altra scelta si ha se non abbassare la testa, pagare e togliere in fretta il disturbo? Chissà se anche a Torino, un giorno, non diventerà più facile muoversi a pedali.
Devo però ammettere che non è tutto rosa e fiori, qui i ciclisti sono talmente tanti che a volte sulle ciclabili si procede in processione, specie se ti trovi davanti una mamma che, utilizzando apposita carozzina attaccata alla bici, sta portando il proprio bambino al Kindgarten. In realtà ci ho fatto presto l’abitudine. Sarà per il fatto che al momento la mia vita non è ancora scandita da ritmi frenetici ma devo dire che é persino più piacevole pedalare in tranquillità senza avere fretta di coprire le distanze che ci separano dalle nostre mete, per chi le ha.
Lavorativamente parlando giovedì scorso ho fatto il mio primo Vorstellunggespräch (dovete sapere che qui usano parole difficilissime anche per indicare cose assai banali come nel caso di un colloquio di lavoro). Sono dovuto andare fino a Bonn, ma la distanza non è proibitiva, sono necessari circa 25 minuti di treno per coprire i 30 km che separano Köln dalla vecchia capitale. Non mi dispiace andare a lavorare a Bonn, sarà un discorso di affinità tra vecchie capitali. L’atmosfera che vi si respira è molto bella, peccato però che probabilmente dovrò respirare quella di un Versicherung Büro, un ufficio assicurazioni. L’attività che dovrò svolgere è molto banale, si tratta di inserimento dati di pratiche assicurative. D’altronde finchè la lingua non si scioglie, e speriamo che il calore dell’estate in arrivo aiuti, ci si deve accontentare di quel che si trova.

Per fortuna è proprio da Bonn che parte il Rheinsteig un percorso nei boschi che si sviluppa sulla destra orogLa vita é una sovrapposizione di immaginirafica del Reno e che consente, partendo da Bonn, di arrivare fino alle porte di Mainz, più precisamente a Wiesbaden. Ho fame di boschi e quindi so già che qualche volta, quando uscirò dal lavoro, approfittando delle lunghe giornate estive mi godrò la lunga passeggiata di 21 km che in circa 5 ore collega Bonn a Königswinter. Anche questo è un privilegio.
Nel frattempo, per prendere confidenza con il Rheinsteig sabato scorso abbiamo percorso parte della seconda tappa, da Rhöndorf a Bad Honnef. A Rhöndorf sono stato accolto da una simpatica immagine, una FIAT 500 rossa che si stagliava davanti al profilo di una casa bianca, a ricordarmi la città ed il paese da cui arrivo e che la vita é una sovrapposizione di immagini.

Man mano che ci siamo incamminati il paesaggio ha però iniziato a mostrare la sua anima tipica tedesca, a cominciare dalle scritte che campeggiavano sulle botti di vino, come questa qui a lato: Wer nie hat Rebensaft getrunken ist noch nie in Glück bersunken! Che tradotto un po’ liberamente (non so cosa significhi bersunken) credo voglia dire che chi non ha mai bevuto lo spumante Reben non ha ancora mai provato cosa sia la felicità. Non avendone mai bevuto prendo atto a  malicuore di non sapere ancora cosa sia la vera felicità, d’altronde sono venuto qui apposta per farne esperienza. Mi incammino lungo il sentiero che ci attende, sereno. Fra un po’ di tempo, nel caso in cui mi passi per la testa l’idea malsana di tirare le somme, se non altro so che il mio amico contadino, forse avrà conservato qualche bottiglia di felicità per me, in barba a tutti i detti che é qualcosa che occorre trovare all’interno di noi stessi.

Ci lasciamo alle spalle gli ultimi segni di civiltà, in questo caso rappresentata da un bell’esemplare di Fachwerkhäuser, prima di addentrarci in un bosco fitto. I metri di dislivello non sono molti, nel corso della giornata ne copriremo complessivamente, tra sali e scendi, circa 600. Però camminare tra i 3-400 metri, con questo caldo è un esperienza che si rivela faticosa anche ad uno come me abituato a rilievi di ben altra natura. Non saranno le Alpi, e adesso che ne sono lontano mi rendo conto ancora di più della loro maestosità e unicità, ma la catena montuosa delle Siebengebirge è comunque affascinante, è la quiete della Natura che affascina. Così come è stato affascinante trovare, nel mezzo del bosco un Friedhof (cimitero) all’interno del quale ha trovato sepoltura Konrad Adenauer, cancelliere tedesco e anche sindaco della città che mi ha accolto. E’ all’interno di questo cimitero che mi si è presentata alla vista un’immagine di quiete incredibile, rappresentata da un gruppo di oche che dormiva placidamente sullo strato erboso che si è venuto a creare sulla superficie di uno stagno.

Cosa raccontarvi ancora? Ah si che ho iniziato a prendere un po’ di contatti con gente del posto. Beh non propriamente del posto. Ieri pomeriggio, ad esempio, sono uscito con Norelia, una ragazza venezuelana che ha studiato a Münster. La sua idea, finita l’Università, era quella di tornarsene in Venezuela, ma quella della sua vita era un’altra e quindi adesso si trova qui da 15 anni. Simpatico sentire parlare tedesco con accento spagnolo. Abbiamo fatto una bella passeggiata in Volksgarten e bevuto qualcosa al sole, io ovviamente una Kölsch. Nei prossimi giorni mi vedrò con Isabelle, e poi il 6 e 7 giugno all’Università di Köln verrà Noam Chmosky ha tenere delle lezioni aperte. Insomma, un passo alla volta mi sto inserendo in questa città, con la piena consapevolezza allo stesso tempo che non sarà la mia meta definitiva. Si sa che alla fine ognuno cerca sempre le proprie radici. Credo che le mie siano nelle Alpi. Per fortuna Katja è sempre stata più incline al nomadismo e non dovrebbe fare fatica a seguirmi, e poi il mio sogno é anche il suo. Fra un po’ di tempo però. Per il momento sono venuto qui per due semplici motivi: stare vicino a lei ed imparare questa lingua. E’ in onore della mia nuova amica sudamericana, al Cambiamento a cui siamo tutti chiamati, che mi piace salutarvi con questa canzone di Mercedes Sosa: Todo Cambia.

Liebe Grüße aus Köln!

Cambia lo superficial
cambia también lo profundo
cambia el modo de pensar
cambia todo en este mundo

Cambia el clima con los años
cambia el pastor su rebaño
y así como todo cambia
que yo cambie no es extraño

Cambia el mas fino brillante
de mano en mano su brillo
cambia el nido el pajarillo
cambia el sentir un amante

Cambia el rumbo el caminante
aunque esto le cause daño
y así como todo cambia
que yo cambie no extraño

Cambia todo cambia
Cambia todo cambia
Cambia todo cambia
Cambia todo cambia

Cambia el sol en su carrera
cuando la noche subsiste
cambia la planta y se viste
de verde en la primavera

Cambia el pelaje la fiera
Cambia el cabello el anciano
y así como todo cambia
que yo cambie no es extraño

Pero no cambia mi amor
por mas lejos que me encuentre
ni el recuerdo ni el dolor
de mi pueblo y de mi gente

Lo que cambió ayer
tendrá que cambiar mañana
así como cambio yo
en esta tierra lejana

Cambia todo cambia
Cambia todo cambia
Cambia todo cambia
Cambia todo cambia


Ich bin da

In realtà sono arrivato già da un po’ di giorni. Per la precisione è dalle 17 di sabato scorso, 7 maggio, che sono qui. Il viaggio è stato più semplice del previsto e, con me e mio padre che ci siamo alternati alla guida, è passato davvero in fretta. Forse troppo per prendere piena consapevolezza di quel che si stava facendo. Per la cronaca mia madre si è avventurata in aereo da sola, per la prima volta. Quante esperienze che sto facendo fare ai miei genitori!
Il tempo di scaricare la macchina, una doccia, ed eccomi qui a mangiare in quella che per un po’ sarà la mia nuova casa con tre ospiti d’eccezione: i miei genitori e Inge, sorella del nonno di Katja. Inge mi sorprende, e non per la sua voglia di vivere nonostante gli 81 anni suonati, ma perché fa subito bella mostra di un italiano più che discreto e si mette a conversare con amabilità e disinvoltura con i miei. Sarà per lo stupore che tutti stiamo provando che i miei cadono nel tranello. Dovete infatti sapere che con Katja ci eravamo messi d’accordo per far credere ai miei che avremmo consumato una cena tedesca a base di patate e crauti. Hanno retto senza colpo ferire la mozzarella di bufala che è stata loro presentata come prodotta in Germania. E fin qui, non fosse che non ci sono bufale, ci poteva anche stare. Il divertimento è stato massimo quando un piatto di trofie con pesto alla genovese, quindi con fagiolini e patate, è stato loro presentato come piatto tedesco a base di patate condito con una salsa a base di aglio e senape. Mia madre ha addirittura affermato che l’odore non era male, dimostrando la sua totale confusione credo più dovuta alle emozioni che stava provando che non allo stress vissuto qualche ora prima in occasione del suo primo volo in solitaria. Abbiamo concluso la cena con una torta a base di mandorle e mele sapientemente preparata da Katja e rifinita con l’immancabile marzipan.
I miei sono ripartiti martedì mattina, mistero dei pensionati che, nonostante abbiano il lusso di potersi gestire il proprio tempo in assoluta tranquillità, continuano a scandire il tempo delle loro giornate ispirandosi a ritmi manageriali. Abbiamo trascorso due bei giorni, una passeggiata lungo il Reno, un giro in battello, cena al ristorante Haus Scholzen che serve piatti tedeschi dal lontano 1907, una passeggiata nel parco vicino allo stadio e poi ancora una cena a casa nostra. Immancabili le lacrime al momento dei saluti. Si sa, gli italiani sono sensibili e non freddi come questi tedeschi tra cui sono andato a finire! Per fortuna ieri sera, in occasione del nostro primo appuntamento via Skype, li ho sentiti più tranquilli e sereni. Mi fa piacere. D’altronde anche io qui lo sono, è stata una mia libera scelta. Non è stato facile, sono molte le cose e soprattutto le persone da cui mi sono dovuto momentaneamente allontanare, ma è stata una scelta ponderata, compiuta consapevolmente e pertanto destinata a dare i suoi frutti.
Ho dovuto subito confrontarmi con lo stare da soli in una città nuova (si fa per dire considerato che da luglio dell’anno scorso vi sarò venuto almeno 4 o 5 volte). In questi giorni infatti Katja è stata molto impegnata con il lavoro. Ha dovuto presenziare addirittura a due cene di lavoro, eventi più unici che rari che per qualche alchimia si sono concentrati in un tempo così breve, forse per darmi l’opportunità di misurarmi per davvero con la scelta fatta. Devo dire che me la cavo più che bene. Finalmente nuovamente padrone del mio tempo sono andato a correre nel parco vicino alla Moschea in costruzione, per ben due giorni di fila. Il resto del tempo lo trascorro leggendo qualche articolo in tedesco da Deutsch Perfekt, perfezionando la mia già buona base grammaticale e informandomi su quanto organizza la comunità di CS di Colonia nella speranza che vengano proposte iniziative a buon mercato che mi permettano di creare un gruppo di buoni amici anche qui. Ci vorrà del tempo, è vero, ma non credo sia questo a mancarmi adesso.
Ho iniziato anche a cercare lavoro. Per il momento, per ritagliarmi qualche ora al giorno per lo studio del tedesco, l’idea è quella di puntare ad un lavoretto part-time, che qui i nazionalisti preferiscono chiamare Teilzeit. Si tratta di lavoretti che richiedono un impegno di circa 20 ore alla settimana e che in cambio offrono una paga di 400€/mese, esentasse. Per il momento, in attesa di prendere bene le misure di questo nuovo Paese, un lavoretto del genere per me sarebbe davvero perfetto considerato che, se si esclude l’integrazione mensile al mutuo, ho calcolato di non avere bisogno di più di 300€/mese: 150€ come contributo al vitto e 150€ (ben 5€ al giorno) per gli extra. Di opportunità sembra che ce ne siano, forse fin troppe. E’ devo dire che non è così facile orientarsi quando non si ha un’idea precisa di quel che si vuole fare. Nel frattempo affino i miei criteri di ricerca, prendo confidenza con gli annunci scritti in una lingua ancora poco familiare e attendo. D’altronde non ho fretta anche perché ho imparato che la fretta è una cattiva consigliera.
Sono sicuro che giorno per giorno riuscirò a entrare sempre più dentro a questa lingua che da un lato mi affascina e dall’altro mi spaventa. Passo da momenti di euforia, tipo quando a seguito di una conversazione con Inge o Katja constato con mia grande sorpresa che la mia conoscenza non è poi così basica come credevo, a momenti di sconforto tipo quello vissuto lunedì sera quando siamo andati in cerca di una bici usata e in cui non ho capito nulla di quanto Katja e il venditore si stavano dicendo. La vita di tutti i giorni mi offrirà comunque le occasioni per migliorare la mia conoscenza, a cominciare da questo sabato sera in cui siamo stati invitati alla festa di inaugurazione della nuova casa di Jenny, un’amica di Katja. Mi aspetto che ci saranno parecchi tedeschi e quindi l’occasione sarà propizia per fare un po’ di conversazione. Per il resto mi devo accontentare di piccole conversazioni, come quella sostenuta oggi con la panettiera sotto casa. Ero andato per comprare semplicemente del pane e sono tornato con due tesori: l’aver scoperto che il Kurbiskernbrötchen esiste anche nella sua versione più grande e che scontirno si dice Kassenbon!


Un ultimo giro di giostra

I mobili, gli scaffali, gli armadi. Tutto vuoto. In questo appartamento che lascerò tra poche ore occorre muoversi in maniera felina per non farsi impressionare dall’eco dei propri passi. L’ambiente è ancora familiare, vero, ma è ormai privo di quei segni che attiravano subito l’occhio di chi entrava a casa mia per la prima volta. L’arredamento non era molto, ho sempre preferito uno stile sobrio, poche cose. Sono sempre stato ingordo di spazio, vuoto, davanti a me. E fra qualche ora ne avrò parecchio. Qualche oggetto in casa c’era. In quest’epoca dove è facile far passare come indispensabile la cosa più inutile solo pochissimi riescono a non cadere in trappola. Io ci sono cascato tante volte. Oggetti fabbricati in serie, ma che per il semplice fatto di aver condiviso con me in questi anni le mura domestiche hanno assorbito, per osmosi, qualcosa del mio modo di essere. Sono stati accuratamente riposti negli scatoloni che ho deciso di lasciare qui, a Torino. Non è solo lo spazio ridotto del bagliaio che mi ha indotto a farlo, è una strategia che ho deciso di applicare per approcciarmi al viaggio che mi attende con leggerezza. So bene che la malinconia è sempre in agguato, ma se le togliamo l’oggetto in grado di evocarla, lo sforzo che dovrà fare per riuscire a prenderti sarà inumano. Con me non ci riuscirà. E bene che lo sappia sin da subito. Se è saggia, eviterà di sferrare un attacco da cui comunque uscirebbe inevitabilmente sconfitta. I ricordi non li lascio, non ci ho mai pensato, poi anche volendo non sarebbe possibile visto che costituiscono un tutt’uno con la mia macchina biologica. Anche questa é saggezza.
Anche se non rivedrò più la foto che ritraeva il mio amato cane Morgan non per questo mi dimenticherò di lui, né di tutti voi. Quella foto tra l’altro non gli rendeva giustiza. Lo ritraeva mentre fissava l’obbiettivo della macchina fotografica con aria triste e sonnolenta sdraiato sul mio divano. Impossibile riconoscere in lui il compagno di tante camminate in montagna e l’impeto della sua corsa quando cercava di rincorrere le marmotte che si facevano beffe di lui. A volte ci ostiniamo a conservare immagini cristallizzate dei nostri ricordi e senza saperlo in questo modo gli imponiamo un limite che risulta poi difficile superare. Se non stiamo attenti va a finire che il ricordo rimane congelato in una dimensione spazio-temporale che non da modo alla fluidità della memoria di perdersi tra i suoi innumerevoli rivi. Sarebbe come voler percorrere un percorso partendo sempre dallo stesso punto. Non è tanto la ripetitività del gesto e la monotonia che da essa ne scaturisce che va deprecata bensì lo spazio che viene sottratto alla nostra fantasia e alla libertà del nostro ricordare. Inutile cristalizzare delle forme. La vita è ingorda di forme nuove. Non gli piacciono i percorsi obbligati e forse è per questo che quando pianifichiamo tutto nei minimi dettagli alla fine gli eventi prendono una piega che finora non avevamo considerato. Un progetto di vita, per quanto accuratamente pianificato e disegnato sulla carta, non potrà mai competere con il succedersi delle giornate, quelle vere, la loro imprevedibilità e imperfezione che lungi dall’essere un limite rendono reale ciò che altrimenti resterebbe intangibile.
Mi piace concludere questo post segnalandovi quest’altro di Simone Perotti: Quando la nave affonda. Negli ultimi tempi è dai suoi scritti che ho tratto la forza e l’ispirazione per la scelta che ho fatto. Buona lettura e a presto.



Adesso basta. Lasciare il lavoro e cambiare vita.






  Avanti tutta. Manifesto per una rivolta individuale


Un mondo migliore

Questa mattina mi sono svegliato con una strana sensazione. Tutto era rivestito di una luce dorata e splendente. Non riuscivo a capire a cosa fosse dovuta questa benefica sensazione che pervadeva ogni cellula del mio corpo. Inizialmente ho pensato che stessi sognando, mi sono quindi diretto verso il balcone alla ricerca di un po’ di aria fresca per essere sicuro di essere cosciente. L’aria era profumatissima, una fragranza si spandeva laddove fino a ieri mi raggiungevano gli odori nauseabondi della discarica non così lontana in linea d’aria, e che aria!
Mi sono affacciato e per un momento mi è sembrato che tutto fosse nella norma: anche oggi la solita signora che, come ogni mattina, portava il solito cane a fare i bisogni nel solito giardino. Poco più in la il solito signore che, come sempre a quest’ora, dopo aver comprato il giornale, va a sedersi nella solita panchina.
Mi bastano pochi secondi per rendermi conto però che oggi le dinamiche sono differenti. I due personaggi che vi ho appena presentato litigano quasi ogni mattina per via del cane che scorrazza libero nell’area giochi dove nel pomeriggio il signore accompagna i suoi nipoti. Non oggi. Il cane riconosce immediatamente colui che ogni mattina gli agita davanti il bastone minacciando di colpirlo, lo punta, arriccia il naso alla ricerca di un odore famigliare e gli corre incontro. Raggiunge la panchina, il signore alza il bastone, come sempre. Ma di colpo il bastone si trasforma nella protesi che finalmente gli permette di compiere quel gesto che, per via delle rigidità impostegli dalla vita, da tempo non era più riuscito a fare: una carezza. Forse sto davvero sognando: non si spiegherebbe altrimenti la discussione animata e amichevole che vedo instaurarsi tra il signore e la padrona del cane che nel frattempo si è accomodata sulla panchina, accanto a lui.
Poco più in là vedo dei ragazzi indaffarati a cercare qualcosa nell’erba. Forse qualcuno di loro ha perso qualcosa. Ma possibile che un oggetto caduto, si suppone in un punto preciso, possa essere finito, equiprobabilmente, su di una zolla di terreno qualsiasi? Come spiegare altrimenti questo gruppo di persone che stanno setacciando uno ad uno tutti fili d’erba del giardino che, sarà per via di questa Primavera straordinaria, non ho mai visto così lucente e rigoglioso? Mentre sono lì ad interrogarmi sulla legge quantistica che ha governato il moto dell’oggetto nella sua traiettoria di caduta  faccio esperienza di una sensazione altrettanto contro intuitiva: i ragazzi hanno smesso di cercare e mi pare che ognuno abbia trovato qualcosa. Solo adesso mi accorgo degli enormi sacchi che prima, per via di un Sole che brilla forte nel cielo, insolitamente alto se si considera che è ancora mattino presto, erano nascosti alla mia vista. Li seguo incuriosito. Si avvicinano ad un uomo addetto alla pulizia del parco. Ora che sono più vicini riconosco coloro che la sera prima avevano costretto il mio vicino di casa a chiamare la polizia per fermare il gioco di quei ragazzi che, a notte fonda, si divertivano a frantumare le bottiglie di birra appena bevute. Porgono il loro tesoro all’uomo che li saluta come si saluta un gruppo di amici che non si vede da troppo tempo. Non sa come ringraziarli. Non vorrei sbagliarmi ma mi pare addirittura commosso. Li seguo ancora per un momento con la coda dell’occhio mentre insieme, ridendo e scherzando, si avviano verso un bar a prendere un caffé.
Forse anche io dovrei prepararmene uno. Rientro in casa. Preparo la moka, accendo il gas e mentre attendo che l’aroma si diffonda per il soggiorno, accendo la radio e mi siedo in poltrona. Con mio enorme stupore scopro che Osama Bin Laden è stato ucciso da un commando di soldati americani. Il nemico numero uno dell’Occidente, l’uomo più ricercato del Mondo non è più tra noi. Il Male è stato finalmente estirpato, le radici bruciate. Una nuova Era è cominciata. Me ne rendo conto dalle parole di Obama, il presidente del Cambiamento che afferma che adesso >>il mondo è migliore<<.
Mi sento escluso da questo cambiamento che eppure ho visto consumarsi davanti ai miei occhi poco fa. Mi sento triste perché mi rendo conto che anche io avrei potuto fare la mia parte, dare il mio contributo. Farlo adesso che tutto il Mondo è finalmente disposto al Bene è troppo facile, privo di valore. E invece ho continuato a consumare i miei giorni spendendoli sempre all’interno degli stessi schemi, senza mai osare romperli, per paura. Di che cosa poi?
L’odore del caffé inizia a diffondersi nell’ambiente, aumenta di intensità e mi porta lontano da questi pensieri. Sto per alzarmi dalla poltrona quando mi sento prendere per il braccio. Poi un bacio. E’ Katja che mi dice che é ora di svegliarsi e mi augura il buongiorno.
Il caffé è pronto ma per fortuna tutto il resto è ancora da fare.


Goodbye Malinconia

a malinconia, tutti nell’angolo tutti che piangono,
toccano il fondo come l’andrea doria
chi lavora non tiene dimora, tutti in mutande, non quelle di borat
la gente è sola, beve poi soffoca come john bohnam
la giunta è sorda più di Beethoven quando compone la “nona”
e pensare che per dante questo era il “bel paese là dove ‘l si sona”
per pagare le spese bastava un diploma, non fare la star o l’icona
né buttarsi in politica con i curricula presi da staller ilona
nemmeno il caffè sa più di caffè, ma sa di caffè di sindona

e poi se ne vanno tutti da qua se ne vanno tutti
non te ne accorgi ma da qua se ne vanno tutti

goodbye malinconia
come ti sei ridotta in questo stato?
goodbye malinconia
dimmi chi ti ha ridotta in questo stato
goodbye malinconia
come ti sei ridotta in questo stato?
goodbye malinconia
dimmi chi ti ha ridotta in questo stato d’animo

cervelli in fuga, capitali in fuga, migranti in fuga dal bagnasciuga
è malinconia, terra di santi subito e sanguisuga
il paese del sole in pratica oggi paese dei raggi uva
non è l’impressione, la situazione è più grave di un basso tuba
e chi vuole rimanere ma come fa, ha le mani legate come andromeda,
qua ogni rapporto si complica come quello di washington con teheran,
si peggiora con l’età, ti viene il broncio da gary coleman
metti nella valigia la collera e scappa da malinconia

tanto se ne vanno tutti

goodbye malinconia
maybe tomorrow i hope we find tomorrow
goodbye malinconia
hope did we get here, how did it get this far
goodbye malinconia
we had it all, fools we let it slip away

every step was out of place
and in this world we fell from grace,
looking back we lost our way,
an innocent time we all betrayed
and in time can we all learn,
not to crawl away and burn
stand up and don’t fall down
be a king for a day,
in man we all pray


da Il Sogno Eretico di Caparezza


Precario è il mondo

Mi sono rotto, io mi sono rotto,
non ho più voglia di abitare lo Stivaletto
non ha più senso rimanere grazie di tutto
aspetto ancora fine mese poi mi dimetto

Tanto il mio lavoro è inutile, diciamo futile
essenzialmente rimovibile, sostituibile, regolarmente ricattabile
il mio lavoro è bello come un calcio all’inguine dato da un toro
il mio lavoro è roba piccola fatta di plastica
che piano piano mi modifica, mi ruba l’anima
dice “il lavoro rende nobili” non so può darsi,
sicuramente rende liberi di suicidarsi

e io mi sono rotto, io mi sono rotto,
non ho più voglia di abitare lo Stivaletto
non ha più senso rimanere grazie di tutto
aspetto ancora fine mese poi mi dimetto

Precario il mondo precario il mondo
flessibile la terra che sto pestando
atipica la notte che sta arrivando volatile la polvere che si sta alzando
Precario il mondo precario il mondo
non è perenne il ghiaccio che si sta sciogliendo,
non è perenne l’aria e si sta esaurendo
e d’indeterminato c’è solo il Quando

Precario il mondo si finchè è normale
ma sembra ancora più precario questo stivale
che sta affondando dentro un cumulo di porcheria
e quelli che l’hanno capito vedi vanno via
e invece tu non l’hai capito, non l’hai capito
e stringi i denti dietro un tavolo dentro a un uffficio
senza nemmeno avere il tempo di guardare fuori
così non vedi che già cambiano tutti i colori

e intorno a te la gente si agita si muove sempre
qualcuno grida è una protesta che nessuno sente
non c’è un futuro da difendere solo il presente
e anche di quello di salvabile c’è poco o niente

amore mio non ci resisto, io non ci resisto
vorrei convincerti a raggiungermi ma non insisto
tu riesci ancora a non vedere solo il lato brutto
io invece ho smesso devo andare, grazie di tutto.

Precario il mondo precario il mondo
flessibile la terra che sto pestando
atipica la notte che sta arrivando volatile la polvere che si sta alzando
Precario il mondo precario il mondo
non è perenne il ghiaccio e si sta sciogliendo,
non è perenne l’aria e si sta esaurendo
e d’indeterminato c’è solo il Quando

E allora il tempo si fermerà, improvvisamente
e chi si stava amando potrà amarsi per sempre
E allora il tempo si fermerà, improvvisamente
e chi si stava odiando dovrà odiarsi per sempre

Precario il mondo precario il mondo
flessibile la terra che sto pestando
atipica la notte che sta arrivando volatile la polvere che si sta alzando
Precario il mondo precario il mondo
non è perenne il ghiaccio e si sta sciogliendo,
e non è perenne l’aria e si sta esaurendo
e d’indeterminato c’è solo il Quando


da S.C.O.T.C.H. di Daniele Silvestri


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Era luglio 2007 quando fui assunto a tempo indeterminato. A quel tempo mi sembrò di aver raggiunto un traguardo. D’altronde i primi mesi di quel 2007 non erano stati facili. Il cliente per cui lavoravo da 7 anni aveva deciso di avvalersi di un altro fornitore e, ritardando la firma del rinnovo contrattuale con la ditta a cui io vendevo le mie prestazioni professionali, ci aveva tenuto nel limbo per 6 lunghi mesi. In mancanza di un riferimento contrattuale, a me, lavoratore dipendente dotato di partita IVA, non era permesso emettere fatture. Concetto tutto italiano di rischio d’impresa. Per un po’, grazie alla stortura dei pagamenti a 90 giorni, che erano diventati 120 alla fine del 2006, i soldi erano comunque continuati ad arrivare.

A maggio decisi che il credito di alcune migliaia di euro di cui potevo vantarmi non era gran cosa di cui vantarsi, e mi misi in cerca di un nuovo lavoro. Lavorai un mesetto a Pont St. Martin, per una ditta di Napoli che mi aveva affidato l’incarico senza neppure conoscermi di persona. Bello che al giorno d’oggi ci sia ancora chi si fida così delle persone!
Il lavoro a Pont St. Martin non era male, però in quel periodo, in cui credevo che la vita di una persona dovesse consumarsi necessariamente nel luogo in cui uno è nato, continuai a cercare un impiego a Torino. D’altra parte non era così difficile fissare un colloquio di lavoro, peccato però che al momento della contrattazione economica tutti obbiettassero che chiedevo troppo. Collezionai un certo numero di colloqui tutti fatti con lo stampino, al punto da domandarsi che fine avesse fatto l’originalità italica. Ero piuttosto spazientito, e fu un bene.

Nell’ultimo colloquio che feci mi venne chiesto non solo di rivedere al ribasso la mia tariffa giornaliera ma, considerato che per policy aziendale non era possibile fare dei contratti prolungati a titolari di partita IVA, di cambiare forma giuridica e aprire una società. In accomandita semplice o a nome collettivo, come più preferivo.
Mi consultati velocemente con il mio commercialista, colui che in quei precedenti 7 anni più volte mi aveva suggerito, per pagare meno tasse, di fare qualche prestazione in nero. Come se l’Italia non avesse già abbastanza persone che ci pensano autonomamente senza i conisgli di un professionista. Mi disse che il problema della costituzione societaria non si poneva, potevo pur sempre lavorare di fantasia ed aprirne una insieme a mia nonna. Che stupido non averci pensato da solo. Mi mise però in guardia in merito al fatto che i costi sarebbero stati maggiori.

Tornai dal mio datore di lavoro, ancora per oggi, e invece di fargli una proposta al ribasso alzai il tiro. L’effetto fu spiazzante. Fui assunto a tempo indeterminato.

Da quel giorno sono passati quasi 4 anni e sono stato rivenduto più volte come specialista di tecnologie mai viste prima. Ho ricoperto il ruolo di figurante tantissime volte. A volte dovemmo assumere persino delle comparse, come quella volta in cui ricevemmo una visita improvvisa da parte del cliente cui avevamo dichiarato un numero di persone allocate sul servizio maggiore di quello reale, continuando ad utilizzare nominativi e utenze di persone che non lavoravano più in azienda.
Fu in questi anni che maturò in me la consapevolezza che i mali di questo Paese non siano dovuti alla sua classe politica bensì alla popolazione che mi pare rappresentata più che egregiamente da chi siede in Parlamento.

A dire il vero si crearono situazioni anche molto divertenti.  Ho ad esempio nostalgia di quel giorno in cui il cliente chiamò un mio collega, piuttosto permaloso, per sapere se una persona che non lavorava più con noi già da tempo faceva parte del suo gruppo di lavoro. Il mio collega fu spiazzato da una domanda così diretta. Per non tradire l’ordine supremo ricevuto che gli imponeva di non dichiarare mai al cliente, in nessun caso, il numero esatto di persone allocate sul servizio, preferì farsi torturare da quella telefonata. Alla fine però vacillò e rispose con un “più o meno”. Per l’onta subita sarebbe stato sbeffeggiato dai colleghi per i mesi a venire.

Non accusatemi di mancanza di gratitudine ma sono davvero contento di andarmene. Non è stato facile prendere questa decisione. Avere un contratto a tempo indeterminato di questi tempi è indubbiamente un privilegio di pochi. Occorre raccogliere tutte le proprie forze per riuscire a spezzare le catene di questa presunta sicurezza e capire che nella vita non ve ne è alcuna. Sono dovuti trascorrere ben 9 mesi, ma alla fine è nato un bel bambino: il mio nuovo progetto di vita. E’ piccolo, deve ancora imparare a camminare e a parlare. Ha però già tante idee. Chissà quali di queste verranno realizzate. Per il momento mi pare che la cosa più importante è che ha una voglia matta di provarci ed è felice di poterlo fare. Finalmente libero di essere sé stesso.


Gettare e issare le ancore

Le teorizzazioni sulle identità odierne farebbero meglio ad abbandonare le metafore delle >>radici<< e dello >>sradicamento<< sostituendole con i tropi del gettare e issare le ancore.
In effetti, issare un’ancora, a differenza del >>radicarsi<< e >>sradicarsi<<, non ha niente di irrevocabile o di definitivo. Le radici, quando vengono divelte dalla terra in cui sono cresciute, generalmente si seccano, uccidendo la pianta che nutrivano; al contrario le ancore vengono issate solo per essere gettate di nuovo, e altrettanto facilmente, in molti porti diversi. Inoltre, le radici progettano e predeterminano la forma che dovrà assumere la pianta che si svilupperà da esse, ed escludono la possibilità di ogni altra forma. Le ancora sono invece soltanto attrezzature che servono a fissarsi a un luogo in modo dichiaratamente temporaneo o a staccarsene, e non definiscono in alcun modo le caratteristiche e le qualità della nave. Il lasso di tempo che separa l’atto di gettare un ancora da quello di issarla nuovamente non è che una fase nell’itinerario della nave. La scelta del prossimo porto in cui gettare l’ancora dipenderà molto probabilmente dal tipo di carico che in quel momento è sulla nave; un porto adatto a un tipo di carico potrebbe essere totalmente inadatto a un altro.
Come navi che attraccano, consecutivamente o saltuariamente, a vari porti, i sé si sottopongono, nelle >>comunità di riferimento<< – cui chiedono di essere ammessi nel corso del viaggio in cerca di riconoscimento e conferma della loro identità, viaggio che dura tutta la vita – alla verifica e all’approvazione delle proprie credenziali; e ogni >>comunità di riferimento<< definisce i requisiti sul tipo di documentazione da presentare. Tra i documenti da cui dipende l’approvazione vi sono di solito il registro della nave e/o il diario di bordo del comandante, e a ogni fermata il passato (costantemente accresciuto dagli atti dei precedenti scali) viene nuovamente esaminato e valutato.
Naturalmente vi sono porti (e comunità) non molto pedanti nel verificare le credenziali, e poco interessati alle destinazioni passate, presenti e future dei visitatori; tali porti (e comunità) accoglieranno in teoria qualsiasi nave, o qualsiasi >>identità<<, ivi comprese quelle che verrebbero probabilmente respinte all’ingresso di gran parte degli altri porti. Ma visitare simili porti (e comunità) offre scarso valore di >>identificazione<<, ed è dunque preferibile evitare queste destinazioni, poiché depositarvi carichi preziosi potrebbe rivelarsi più dannoso che utile in un momento futuro. Paradossalmente l’emancipazione del sé ha bisogno, come suoi strumenti, di comunità forti, selettive ed esigenti.

tratto da L’arte della vita (Economica Laterza)

di Zygmunt Bauman


Ich habe einen Engel gefunden

L’ultimo weekend mordi e fuggi in Germania è andato e presto scoprirò il gusto che hanno i giorni infrasettimanali. Nel frattempo ho ancora in bocca il gusto di questo appena trascorso, un sapore dolce come la Rüeblitorte che ho ricevuto per il mio compleanno: torta della tradizione svizzera-tedesca, del cantone di Aargau.
Il preparato si ottiene mescolando tuorli d’uova, zucchero, farina, noci e mandorle tritate, carote grattuggiate. Una volta uscita dal forno la si riveste di marmellata di albicocca e granella. La “ciliegina sulla torta”, in barba a quello che uno potrebbe pensare, sono tante piccole carote, di marzapane, colorate grazie ad un bagno nel succo di rabarbaro. Non mi dilungo oltre, vi basti la foto qui di seguito e se volete la ricetta contattatemi.

Accanto alla torta era lì ad accogliermi il Wilkommenspaket. Ne ero già sicuro, ma osservandone il contenuto pare proprio che non ci sarà da annoiarsi: 12 Radtour rund um Köln, Eifel- und Rheinsteig, Winterberg… Pur essendo irrequieto di natura credo che avrò il mio bel da fare per portare a termine tutti gli itinerari suggeriti. Se poi aggiungiamo il libro 111 Kölner Orte die man gesehen haben muss, beh credo proprio che dovrò fermarmi a Colonia un po’ di tempo.

Sabato mattina, il rituale della colazione tedesca, la mia: Kurbiskernbrötchen mit Käse. Un giro per il mio nuovo quartiere: Ehrenfeld a fare la spesa: ein Kilo weiße Spargel, bitte da gustarsi con la sauce hollandaise.
L’Olanda non è lontana e se non si sta attenti eccotela lì sul tavolo nelle sembianze di una crema ottenuta mescolando turoli d’uovo e burro sciolto.
I tedeschi si fanno beffe del colesterolo e Katja mi rassicura dicendo che non è quello che si mangia che fa male, il colesterolo cattivo è congenito. Ricordo di aver letto anch’io il risultato di una ricerca che giungeva a questa conclusione. Rincuorato afferro un asparago e lo affogo nella salsa. Sta per esalare l’ultimo respiro. Mosso a compassione lo tiro fuori e gli concedo una morte più dolce. Finisce i suoi giorni nella mia bocca, tenero e saporito, consapevole di non essere morto invano.

Quando si è in Germania è bene sapere che vi sono cose alle quali occorre rassegnarsi. Si tratta di vere e proprie leggi fondamentali che sono alla base dell’Universo, tedesco s’intende.  Una di queste afferma che il numero di uova che mangerai supererà sempre la tua più rosea immaginazione. Inutile combatterla, chi sarebbe così stupido da voler ribellarsi alla forza gravitazionale? Un tedesco avrà sempre un buon motivo per covincerti che è proprio il momento giusto per mangiarsi un uovo. A volte lo fa alla luce del sole: ti offre un uovo alla cocque zum Früstück e se provi a ribellarti dicendo che l’hai già mangiato ieri ti risponde candidamente aber heute ist Ostern!
Non sempre il gioco avviene a carte scoperte e quando meno te lo aspetti ecco le uova che si travestono da Kuchen e sauce hollandaise! Ti propongono addirittura di aggiungere un uovo all’impasto per la pasta in casa. A nulla valgono argomenti razionali, hanno ragione loro, d’altronde la pasta all’uovo esiste. Più facile uscirne vincitori quando ti chiedono di aggiungerlo alla pasta per la pizza. Per il momento l’unica cosa certa sul mio futuro è che non diventerò vegano.

Questo weekend ho anche sperimentato l’emozione di girare in bicicletta per la mia nuova città. Non so ancora quale sarà la futura compagna del mio girovagare. Ammetto di essermi innamorato di un bellissimo esemplare dagli occhi azzurri. Faceva bella mostra di sè da B.O.C., un intero supermercato dedicato alle due ruote. Chiedeva solo di essere presa per fare un giro sulla ciclabile interna, muovere i primi passi insieme, imparare a conoscersi. Ho tentennato, forse tornerò, devo ponderare. Spero che mi possa capire. D’altronde io il mio colpo di fulmine l’ho già avuto.
Questo weekend mi sono dovuto accontentare della bici di Katja, ed ho dovuto dismettere i panni da Radler per indossare quelli di macchinista, Lokführer. Nonostante la pesantezza del mezzo è stato facile muoversi sulle ciclabili che attraversano in lungo e in largo la città. Quella sensazione di lotta e sfida che mi accompagna nel mio muovermi per le strade di Torino è svanita. Al suo posto lo stupore nel scoprire che ogni ciclabile, una per ogni lato della careggiata, ha un suo verso di percorrenza. A ricordarmelo una signora caduta di fronte a me investita dalla classica portiera aperta maldestramente dal bradipo di turno. Es tut mir leid.

Natur Tour 01, un percorso di 20 km per scoprire che Köln è circondata dai boschi. Se a Vienna è facile incrociare uno scoiattolo in un parco cittadino, qui ad essere di casa sono le lepri. Non c’è da stupirsi: è il weekend di Pasqua e gli Osterhase hanno il loro bel da fare.

In ogni caso pare proprio che la natura non mi mancherà. Per i più esigenti è lì a fare bella mostra di sè il Rheinsteig. Siamo andati a conoscerlo. Ci siamo presentati. Abbiamo chiesto permesso e siamo entrati.
Una bellissima passeggiata sulle colline che si ergono sulla destra orografica del Reno. Tappa numero 1, percorsa contromano. Perchè siamo persone a cui piace andare controcorrente. Un percorso di 20 km da Königswinter a Bonn. Vigneti dove vengono coltivati il Grauburgunder ed il Riesling. Castelli che si susseguono uno dopo l’altro. Di alcuni solo rovine, come quelle che si ergono sulla collina di Drachenfels, altri fanno bella mostra di sè come lo Schloss Drachenburg, qui sotto.

Il sentiero sale e scende lungo le Siebengebirge: un insieme di colline di origine vulcanica formatesi tra 28 e 15 milioni di anni fa. Sarà il caldo ma raggiungere Petersberg non è stata proprio una passeggiata. La ricompensa è una splendida veduta sulla valle del Reno ed il contrasto tra noi arrivati lassù a piedi, con nello zaino un pezzo di pizza ed uno di torta entrambi fatti in casa, e la borghesia tedesca che, alla fine di un lauto pasto consumato al Grand Hotel, si sta gustando coppe colme di gelato alla crema ricoperte da bancali di frutta. D’altronde si sa che servono molte calorie per guidare la propria BMW lungo le strade tortuose della collina e poter così fare ritorno alla propria dimora.

Noi invece proseguiamo fino a Kloster Heisterbach dove ci attende una bellissima rovina di un’abbazia cistercense. Dopo la secolarizzazione avvenuta nel 1803, il monastero fu messo in vendita il 18 ottobre 1804 e comprato nel 1809 da un imprenditore francese. Fu quindi demolito e le sue pietre furono utilizzate per la costruzione del Grand Canal du Nord tra Venlo e Neuss. Quel che resta dell’edificio, non molto a dire il vero, è stato acquistato da un consorzio di Colonia.

L’intenzione sarebbe stata quella di portare a compimento la tappa e raggiungere Bonn. Ma si sa che siamo persone imprevedibili. D’altronde già prima di iniziare il cammino avevamo avanzato tre diverse ipotesi sul tracciato da seguire scegliendo infine un itinerario fino a quel momento neppure contemplato. E allora adducendo come scusa la stanchezza imbocchiamo la prima uscita di questra autostrada  tra i boschi e rotoliamo giù verso Oberkassel. Uno sguardo veloce alle Fachwerkhäuser del paesino

e via a prendere il treno nach Köln.

E’ stato un weekend davvero denso con tanto di serata conclusiva al cinema, il mio primo in Germania, a vedere Almanya – Wilkommen in Deutschland. Film davvero carino che racconta la storia di una famiglia di turchi immigrati in Germania. Non sono turco ma il tema mi tocca da vicino. Peccato che il film non verrà distribuito in Italia. La sceneggiatura è stata studiata in modo da avere come cassa di risonanza naturale un Paese che, in ogni caso, non è il mio. Eppure il tema dell’immigrazione è di portata generale, non sono stati solo i turchi a costruire questo Paese, anche molti miei connazionali hanno fatto la loro parte. La mia?
Bellissima la frase finale di Max Frisch: Wir riefen Gastarbeiter, und es kamen Menschen , vale a dire: “chiamavamo lavoratori stranieri, ed arrivavano uomini”. Questi uomini fanno ormai parte del tessuto sociale tedesco. L’idea iniziale che potessero venire per un breve periodo per poi tornare ai loro paesi d’origine si è rivelata limitata, quanto la mente di chi l’ha concepita.
C’è una moltitudine in movimento. Una tavolozza di colori, in cui intingere il pennello per ottenerne di nuovi e disegnare un mondo con dei colori mai visti prima.
Quand’è che anche l’Italia lo capirà? Spero presto. Nel frattempo eccomi a dare il mio contributo.